Storia

STORIA DELLA LETTERA

La Storia dell’uomo nasce con l’invenzione della scrittura. La storia della lettera consegue all’invenzione della parola, dell’alfabeto e della scrittura.

Le prime lettere rinvenute in Occidente avevano un carattere commerciale e furono scritte dai Sumeri intorno al 3000 a.C. Erano costituite da tavolette di argilla che una volta scritte venivano essiccate al sole e poi ricoperte da un secondo strato di argilla fresca sul quale era impresso il nome e l’indirizzo del destinatario. Tali lettere contenevano documenti amministrativi, contratti di lavoro, affitti di terreni e vendite di derrate alimentari. La scrittura usata è detta cuneiforme in quanto composta da insiemi di segni a forma di cuneo risultanti dalle incisioni sull’argilla con un attrezzo a forma triangolare. A Telloh sono stati ritrovate le prime tavolette d’argilla scritte. Una delle tavolette più importanti ritrovate è il cosiddetto editto di riforma di Urukagina (2352-2342 a.C.). In questo testo il re afferma di essere stato scelto dal dio Ningirsu per porre fine all’oppressione dei poveri e descrive una serie di riforme contro la vecchia burocrazia e l’immenso potere che aveva assunto la casta sacerdotale.

Sempre intorno al 3000 a.C. nell’Antico Egitto fu introdotto il metodo di scrittura basato su inchiostro, penna e papiro nel quale si può intravedere un primo tentativo di comporre le lettere tramite carta e penna. Gli egiziani tagliavano in listelli sottili e poi intrecciavano le piante di papiro, così facendo formavano dei canovacci.I cinesi incidevano i loro ideogrammi su tavolette di legno o strisce di bambù, su rotoli di seta (per il sapere più intellettuale) o su ossa di animali, gusci di tartaruga, conchiglie (per chiedere consiglio agli antenati),i Maya usavano delle striscie-fisarmoniche lunghe 6-7 metri che venivano poi piegate in rettangoli della dimensione vicina a quella della pagina di un quaderno. La grande biblioteca di Alessandria, prima di essere distrutta nel. 47 a.C., fu la prima a mettere a punto un sistema di catalogazione ed ordinamento dei testi.

Il più vecchio manoscritto è in lingua Copta e risale a 1600 anni fa. È stato trovato in Egitto nel 1984.

L’epistola era, almeno fin da Platone, un genere praticato in campo filosofico, dove insegnamenti soprattutto morali erano impartiti nella forma della lettera rivolta a un personaggio specifico.

In età ellenistica furono pubblicate le lettere di Alessandro Magno, e il filosofo Epicuro, imitando l’esempio di Platone, affidò la divulgazione di gran parte del suo pensiero alla forma epistolare. Già nelle scuole di retorica, oltre all’oratoria, si insegnava anche la forma in cui rendere efficace una missiva.

Nella letteratura latina abbiamo conservate lettere di personaggi famosi. Essenzialmente le specie sono due: quelle ufficiali scritte da personaggi che occupavano cariche importanti ed erano destinate dai loro autori a avere il massimo della pubblicità perché l’opinione pubblica ne fosse informata, e quelle puramente private, inviate a familiari o amici stretti (familiares), di cui abbiamo minore quantità di testimonianze.

In età neroniana l’epistolografia produce le Epistulae morales di Seneca (I secolo d.C.). Non è chiaro se si tratti di un epistolario reale (per cui Seneca avrebbe risposto a reali lettere inviategli da Lucilio) o di un’opera squisitamente letteraria, composta sul modello delle epistole filosofiche di Platone e di Epicuro. Questa seconda ipotesi è suggerita almeno da alcune delle epistole, che hanno la dimensione di piccoli trattati.

In età imperiale l’epistola torna ad essere veicolo di conversazione a distanza fra persone colte o resoconto ufficiale. Di Plinio il Giovane (I-II secolo d.C.) ci restano dieci libri di epistole: i primi nove contengono lettere indirizzate a familiari e conoscenti vari, il decimo il carteggio con l’imperatore Traiano, comprese alcune lettere che questi gli inviava in risposta.

Dell’età degli Antonini, possediamo lettere di Frontone (II secolo d.C.) scambiate con Marco Aurelio, con Lucio Vero, e con l’imperatore Antonino Pio. In età tardoantica di Simmaco (IV secolo d.C.) ci sono pervenuti nove libri di epistolae e uno di relationes, i rapporti che inviava all’imperatore nella sua qualità di praefectus urbi.

In epoca Romana alcune lettere di carattere amministrativo furono scritte fondendole su tavole di bronzo. La scrittura usata nel mondo romano era “alfabetica” ovvero ogni simbolo corrispondeva alla lettera di un alfabeto. L’uso delle lettere come mezzo di comunicazione era tanto diffuso da giustificare lo studio di un sistema postale che trovò nel dominio di Augusto una delle sue massime espansioni.

In genere, però, veniva usata per la corrispondenza commerciale e privata la tavoletta cerata, supporto scrittorio tipico dell’antichità, ma vi sono testimonianze che ne dichiarano l’uso anche nel medioevo.

Era costituita da alcune assicelle rettangolari di legno o d’avorio (tabulae) rivestite di cera, su cui il testo era tracciato a graffio tramite un apposito strumento a punta, lo stilus. La cera poteva essere raschiata e ridepositata, consentendo così sia la cancellazione del testo che il riuso del supporto.

A seconda della lunghezza del testo, era possibile utilizzare più tavolette, che venivano unite tramite fermagli metallici. A seconda del numero di tavolette utilizzate, prendevano il nome di diptychum (due tavolette), triptychum (tre), polyptychum (più di tre).

Per la realizzazione della documentazione, erano solitamente riunite in dittici o trittici con il testo in duplice redazione, ossia incise solo nella parte interna, sovrapposte l’una all’altra in maniera speculare e chiuse attraverso un filo di ferro attorcigliato intorno su cui potevano essere apposti dei sigilli di sicurezza.

Il gruppo più antico è stato rinvenuto durante gli scavi di Pompei nel 1875 nella casa del banchiere L. Cecilio Giocondo: è composto da 127 tavolette risalenti agli anni 1562 d.C. ed è conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. L’uso delle tavolette era comune in tutto il territorio dell’impero romano, anche dopo la sua caduta fino al XII secolo.

Oltre alle tipiche tavolette cerate, ne esistevano altre in avorio, cerate all’interno e scolpite all’esterno, che prendevano il nome di dittici consolari, poiché erano un’offerta che consoli o magistrati romani donavano ad amici e parenti in occasione della propria nomina.

Il più antico dittico consolare di cui si ha testimonianza risale al 388 d.C. e si trova a Madrid. Nei secoli successivi, i dittici in avorio furono utilizzati per la rilegatura di libri liturgici e di pregio.

L’amministrazione imperiale aveva la sua rete postale nel cursus publicus (in casi eccezionali i portatori di lettere potevano percorrere anche 150 km in un giorno); i ricchi mandavano i loro schiavi (tabellarii, portatori di tabelle o tavolette scritte); infine esistevano imprese private di distribuzione postale.
In oriente colui che portava la lettera annunciava il nome del mittente e del destinatario che nella lettera non veniva messo. Nel mondo ellenistico il corriere aveva l’incarico e l’autorità di presentare, interpretare ed espandere la lettera con informazioni addizionali così che lo scritto era come solo uno schema.

Con la fine dell’Impero Romano, la scrittura di lettere, se pure a carattere commerciale, tornò ad essere un gesto riservato a pochi alfabetizzati e quasi esclusivamente appartenenti al mondo religioso. Il papiro venne lentamente sostituito dalla pergamena. La chiusura e la frammentazione del territorio in tanti piccoli stati portò allo sviluppo di altrettanti metodi di scrittura legati al loro contesto politico; tra i quali: la beneventana, la curiale romana, la merovingia, la alamannica e la visigotica.

Viene introdotto nelle lettere ufficiali l’uso del sigillo in piombo detto bolla con il quale si autenticavano le lettere papali.

Intorno all’anno 1000 alle lettere in pergamena si affiancarono quelle in carta di uso corrente in tutto il mondo arabo. Si diffonde l’uso della scrittura carolina che era quella ufficiale dell’Impero carolingio, ma si diffonde anche l’uso dei volumi.

Nel X secolo si racconta che Abdul Kassem Ismael, visir del regno di Persia, faceva viaggiare la collezione di 117.000 volumi caricandoli su una carovana di quattrocento cammelli, che dovevano poi procedere mantenendo l’ordine alfabetico.

L’epistola medievale continua la tradizione dell’età classica: è familiare, didascalica, ufficiale, privata, in prosa e in versi, ecc. Né viene a mancare l’uso di raccolte epistolari, sia che le compilino gli autori stessi, sia che le mettano insieme ammiratori o amici.

L’arte delle epistole venne insegnata durante il Medioevo, dai dettatori a Montecassino, a Bologna e in Francia. Il lavoro di tali dettatori (in latino dictatores), proseguirà anche nei secoli XII e XIII, seguito anche dagli scrittori più insigni. Dante Alighieri stesso non si sottrae alle norme tradizionali.

Nel secolo XIV anche l’epistola risente del soffio del Rinascimento, e Petrarca vi inaugura un’era nuova, quella dell’epistola umanistica dominata prima dall’influsso di Seneca e poi da quello di Cicerone.

Nel 1300 i mercanti presero l’abitudine di siglare le loro lettere con un proprio simbolo di riconoscimento che costituiva il marchio della famiglia di appartenenza. Tali simboli erano in genere stilizzazioni di oggetti, vegetali o lettere: un giglio stilizzato era il simbolo usato da Domenico Gigli alla fine del Trecento, il commerciante Felip Fibla usava due effe incrociate, Giovanni di Rinieri Peruzzi aveva scelto un pero stilizzato. Tra i mercanti si forma anche la scrittura detta mercantesca che è più povera esteticamente delle precedenti ma di gran lunga più pratica e semplice da usare.

Veri e propri topoi della scrittura mercantile sono il riferimento alla frenesia del processo di scrittura e l’ossessione per la chiarezza del dettato grafico, spia evidente di una bassa qualità media delle grafie, soprattutto quelle adoperate dai corrispondenti locali. All’iperattivismo scrittorio, di cui è testimonianza diretta la dimensione dell’Archivio Datini di Prato (150.000 lettere, 500 registri e libri di conti, migliaia di documenti commerciali), fa riferimento Francesco Datini in una lettera alla moglie: «Iersera [non] mi sentia molto bene della persona per lo molto scrivere che ò fatto questi due dì, senza dormire né di dì né di notte»

Nel 1400 si diffonde l’uso di sigillare le lettere con la nizza ovvero una bandella di carta su cui talvolta è inciso un sigillo a secco. La nizza poteva anche essere bloccata con ceralacca.

Durante il Cinquecento e fino a metà Ottocento la forma usuale della lettera è quella del plico che consisteva in un foglio di carta piegato, sigillato ed inviato allo scoperto ovvero senza busta. L’indirizzo è scritto su una porzione di foglio lasciata appositamente in bianco e chiamata sopraccarta.

Nel Rinascimento si diffonde l’uso della carta e l’organizzazione dei servizi di posta a cura di Francesco Tasso producono un gran numero di lettere commerciali ad opera della borghesia che necessita di comunicazioni con luoghi lontani. Con questi nuovi supporti si diffonde anche l’uso delle frasi in lingua volgare apposte sui frontespizi delle lettere ad incitare una più rapida consegna. Il termine più usato ad esortazione della rapidità era il latino cito, per be 14 volte ripetuto in una lettera del 13 settembre 1542 scritta dal doge Pietro Lando.

Iniziano a viaggiare le lettere dirette nel nuovo continente. Una delle prime giunte fino a noi è del 1538 e riporta l’ordine di Carlo V al viceré della Nuova Spagna Antonio Mendoza affinché venissero distrutti tutti i templi e gli idoli degli Indios. Con una successiva lettera, Carlo V dispone che tutti i frati fossero autorizzati a costruire edifici monastici.

Il 7 giugno 1579 Maria Stuarda sotto arresto da un decennio, scrive una lettera al suo carceriere Sir George Bowes chiedendo il permesso di inviare in Scozia il suo segretario affinché si accertasse dello stato di suo figlio Giacomo ancora tredicenne. Sorprendentemente nella lettera usa uno stile confidenziale poco consono al carattere che l’aveva contraddistinta ed alla forma nobiliare.

Una lettera del 15 novembre 1582 scritta dal dottore Hubert de la Vallée a Margherita d’Austria, informa sulla salute e sulla condotta che deve seguire Filippo II di Spagna, facendo giungere a noi un ritratto intimo di uno dei più potenti uomini dell’epoca ma anche quelle che erano considerate preziose informazioni mediche come la raccomandazione di sorbire un brodo di cappone prima di ogni pranzo.

LA CARTA

L’invenzione della carta viene attribuita a un cinese, Cai Lun, già nel II secolo dopo Cristo,
Il mondo occidentale assegna invece a Pace da Fabriano la paternità della scoperta, datata intorno al 1300. La preparazione consisteva nel mettere a macerare corteccia, bambù, canapa e stracci in una grande vasca. La poltiglia ottenuta veniva setacciata e lasciata ad asciugare. Passata tra due rulli ottenendo infine un foglio di carta. I fogli ottenuti erano di spessore non omogeneo, i bordi erano irregolari ma si trattava comunque di ottimo materiale. Il lavoro era lungo e molto faticoso, e per almeno 500 anni venne fatto completamente a mano. Il più antico libro stampato meccanicamente è il testo induista dei sutra non posteriore al 704 d.C. Fu stampato con cliché di legno e venne trovato nel 1966 nei sotterranei di una pagoda della Corea del Sud.

Nel passato i libri erano per lo più di grande formato, tanto che il leggere rappresentava uno fatica anche fisica.

LA STAMPA

Gutemberg, passato alla storia come inventore della stampa, perfezionò la tecnica di riprodurre illustrazioni mediante una matrice in legno, preparando per ogni lettera l’equivalente matrice.
Osserva sempre il principio del “timbro”, ma l’averlo proposto come un puzzle di lettere rese più agevole la composizione di parole, e frasi, e pagine. Nel 1456 la prima edizione a stampa della Bibbia: una singola pagina è composta di 42 righe e utilizza circa 2750 lettere. Il più antico libro moderno stampato a macchina è la Bibbia stampata a Magonza intorno al 1454 da Gutemberg.

I TEMPI MODERNI

Nel XVII secolo inizia a svilupparsi l’abitudine di inserire le lettere in una busta grazie anche alla riduzione del prezzo della carta. Vengono diffusi anche sigilli alternativi alla nizza e alla ceralacca come ad esempio i fili di seta. Per esortare una consegna più rapida si abbandona il latino cito ed in Italia viene adottato il termine subito. Si sviluppa l’abitudine di lasciare uno spazio bianco tra la prima riga del testo, che deve contenere l’intitolazione ovvero il titolo del destinatario, ed il corpo vero e proprio della lettera. Diventa buona regola lasciare tanto spazio bianco quanto più si vuol significare la propria sottomissione. Nell’Archivio di Stato di Modena sono presenti alcune lettere che lasciano un intero foglio per un messaggio di sole tre righe a significare prostrazione estrema. Al contrario vi era la lettera in riga che poneva destinatario e mittente in pari dignità.

La necessità di comunicare tramite lettera è tanto pressante che porta allo studio di metodi facilitanti questa pratica; tra questi si ricordano gli AQ veneziani introdotti nel 1608: interi postali usati principalmente per lettere provenienti dalle magistrature. Dalla Francia si diffonde la moda degli enveloppe: pezzi di carta sagomanti in base alla forma del plico ed i cui lembi erano piegati in modo da formare un effetto appuntito.

Con l’introduzione dei timbri nel 1661 da parte di Sir Henry Bishop compaiono sulle lettere i primi segni di timbratura. Tra i religiosi si attesta l’abitudine di sigillare le lettere usando un’ostia ma era ritenuta sconveniente se la missiva era rivolta ad un superiore; nel qual caso era d’obbligo l’uso della ceralacca.

Nel XVIII secolo inizia una nuova alfabetizzazione di massa che allarga l’uso delle lettere anche a nuovi ceti sociali. Scompare lentamente l’uso del latino e si afferma l’uso delle lingue nazionali. In Svezia e Finlandia la corrispondenza urgente veniva dotata di una piuma d’uccello incastrata nel frontespizio con la ceralacca. In Italia compare per la prima volta il termine “Espresso” scritto accanto all’indirizzo di destinazione ma il riferimento non era al noto servizio postale bensì all’incaricato che consegnava la posta in maniera celere.

Il 30 dicembre 1707 Amalia Guglielmina di Brunswick e Lüneburg imperatrice del Sacro Romano Impero Germanico, scrive da Vienna al cardinale Leandro di Colloredo presso la sua sede di Roma rispondendo agli auguri di prosperità inviatigli precedentemente. La lettera è considerata un tipico esempio di corrispondenza nobiliare europea. La calligrafia è corredata da vistosi ornati e la lingua usata è ancora il latino.

Nel 1715 Isidoro Nardi nel suo manuale Il segretario principiante divideva le lettere in undici classi: lettere di buone feste, di partecipazione, di avviso, di congratulazioni, di raccomandazione, di negozio, di informazione, di presentazione, di condoglianze, di scuse e familiari.

Nel 1759 nelle cancellerie vescovili e nelle segreterie degli ordini religiosi per sigillare le lettere erano usate ostie colorate.

Il 17 giugno 1792 Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena indirizza una lettera a Ferdinando I delle Due Sicilie ed alla sorella Maria Carolina d’Asburgo-Lorena che le è consorte, per congratularsi della nascita di Alberto Filippo Maria loro quindicesimo figlio. Per Maria Antonietta è un periodo critico in quanto prigioniera in una Francia rivoluzionaria che la tiene prigioniera e nello stile gioioso della lettera lascia trapelare una nascosta richiesta di aiuto appellandosi alla Regina come “mia carissima sorella”.

Durante l’Ottocento si cominciarono a produrre fogli di carta da lettere sottili che poi prenderanno il nome di veline. In Inghilterra prenderà il nome di Bath Post e sarà di un colore bianco brillante ad eccezione della azzurra che verrà prodotta miscelando all’impasto della carta il cobalto. Nel 1816 Domenico Milone pubblica Il perfetto manuale epistolare con l’intento di ripristinare l’uso della cortesia aristocratica nelle lettere, che era venuta meno con l’avvento giacobino e napoleonico.

Nel 1820 il commerciante di carta inglese Brewer di Brighton inizia a produrre e vendere su grande scala le buste di carta per le lettere. L’uso delle buste fu però criticato in quanto non consentivano l’apposizione dei bolli postali certificanti sul foglio.

Con l’introduzione del francobollo nel 1840 a seguito della riforma postale di Rowland Hill le lettere divengono il più diffuso mezzo di comunicazione di massa. La capillare diffusione dell’alfabetismo contribuisce ad un maggior uso della lettera anche per questioni personali e private come le corrispondenze dei militari impegnati in battaglia. Per esortare l’urgenza vennero usate espressioni come “di preme” o “pressatissimo” ma in genere erano appannaggio di commercianti e banchieri. La forma della lettera continua ad essere il plico l’apposizione del francobollo avviene nella sopraccarta.

Nel 1819 il Regno di Sardegna introduce una carta bollata che poteva essere usata come lettera pagata dal mittente: il “Cavallino di Sardegna”. Le missive erano affidate a diligenze per l’inoltro a destinazione e spesso sul frontespizio appariva la scritta pronto recapito.

Il 23 luglio 1841 venne spedita una lettera da Stoccolma che raggiunse Cremona il 5 agosto. Al suo interno vi era stampata in litografia una cornice raffigurante i principali monumenti di Berlino. Tali lettere erano stampate a nome “Edizioni della ditta Rocca in Berlino” e rappresentano un primo tentativo di invio di immagini illustrate per posta.

Il 3 aprile 1848 Demetrio Galli della Mantica, giovane ufficiale dei Bersaglieri, scrive una lettera alla madre mettendola al corrente della situazione in cui incombe essendo coinvolto nella battaglia di Goito. Purtroppo fu il primo dei due ufficiali caduti durante il conflitto e la lettera rimane a testimonianza della Prima guerra di indipendenza italiana.

Nel 1859 il Regno Lombardo-Veneto istituisce il servizio espresso e dota i propri uffici postali di un timbro con la dicitura LETTERA PER ESPRESSO. Nel 1866 il Vocabolario della Crusca registra per la prima volta l’uso del termine busta come custodia per i fogli di carta da lettera.

Durante il Novecento lettere divengono testimonianza diretta dei due conflitti mondiali che hanno interessato il secolo, ma anche splendidi reperti delle nuove conquiste spaziali.

In Italia dopo il 1930 per facilitare l’uso della posta aerea verrà prodotta una speciale carta da lettere leggerissima grazie alla quale con la busta è possibile mantenere il peso al di sotto dei 5 grammi nei quali era previsto lo scaglione d’uso con la tariffa postale più bassa.

Il 16 gennaio 1969, ad opera dell’U.R.S.S. avvenne il primo incontro nello spazio tra due mezzi di trasporto. Le due navicelle Soyuz 4 e Soyuz 5 si agganciarono consentendo il trasbordo da una all’altra di uomini ed oggetti provenienti della Terra. Tra gli oggetti vi erano anche due lettere: una privata e scritta dalla moglie dell’astronauta Vladimir Aleksandrovič Šatalov ed una ufficiale ed affrancata con un francobollo da 10 centesimi. Šatalov fu quindi il primo uomo a ricevere corrispondenza nello spazio.