Il Palazzo Valignani fu fatto erigere da Federico, marchese di Cepagatti, intorno al 1743. Fu progettato secondo criteri classicistici forse ispirati dal modello di Villa d’Este di Tivoli (ampio giardino, un bosco, etc.) per farne la sede ufficiale e simbolica della Colonia Tegea. Ne è testimonianza l’iscrizione su una lapide presente al piano terra: DOMINUS FEDERICUS VALIGNANUS PATRICIUS ROMANUS AC TEATINUS MARCHIO CEPAGATTI DOMINUS TURRIS VETERIS ET CASANOVAE A PROGENITORE DROGONE EX COMITIBUS LORITELLI NORMANNIS CASTRI VALIGNANI XXI TOPARCHA HAS AEDES A FEDERICO CONSTRUCTAS POMARIIS VIRIDIS ORNATAS CUNCTIS ADVERSANTIIS DIVINAE PROVIDENZIA DE FORTUNAE PEREIDIA VELUT TROPHAEUM EREXIT MDCCXLIII (Il Signore Federico Valignano Patrizio Romano Teatino Marchese di Cepagatti Signore di Torrevecchia e di Casanova dal progenitore Drogone dei Conti Loritelli Normanni dei Castelli Valignani XXI governatore Questo edificio ha costruito ed ornato di frutteti e giardini nonostante l’opposizione di tutti eresse questo trofeo alla Divina Provvidenza nel 1743).
Federico
Valignani fu uomo
politico, scrittore, erudito, studioso di scienze, discendente della
nobile casata dei Valignani. Nel 1632 divenne Marchese di Cepagatti
Alessandro Valignani.
Dal marchese Alessandro il feudo passò a
Giacomo e poi a Federico che nacque a Cepagatti nel 1699 e morì a
Torrevecchia Teatina nel 1754, nel suo castello, usato come residenza
estiva. L’origine della famiglia Valignani è avallata dalla lapide
citata, fatta apporre nonostante l’opposizione, da Federico. Egli
cita Drogone detto Tascione che morì a Pescara il 9 agosto 1095,
come suo antenato, il quale, si scontrò contro il vescovo feudatario
Trasmondo (1076), della diocesi di Chieti, e lo vinse insieme al
fratello Roberto di Loritello della Contea di Larino con il quale si
divise i terreni che il vescovo aveva dovuto cedere per pagarsi il
riscatto da prigioniero, unitamente all’incredibile somma di 10.000
bisanti, spogliando chiese e monasteri, tra cui quello ricchissimo di
San Giovanni in Venere. A Drogone toccò il dominio dal torrente
Venna sotto Tollo, fino al fiume Pescara, al fratello Conte di
Loritello dalla Venna di Tollo fino oltre Lanciano. Col passare del
tempo Drogone estese i suoi possedimenti oltre il Pescara con l’aiuto
anche di Ugo Malmozzetto fino a comprendervi alcuni paesi della
provincia di Teramo oltre il Pescara, ovvero Cepagatti, eletto centro
dei suoi possedimenti nell’Abruzzo ulteriore. Dai normanni, il regno
passò agli Angioini, poi agli Aragonesi e i contadini analfabeti si
convinsero che i Wallenghrunth fossero i veri proprietari di tanti
ettari di terra, da cui riscuotevano il denaro, e questi signori non
facevano nulla per far credere il contrario. Con la caduta degli
Aragonesi e l’avvento dei Borboni nel regno di Napoli, i
Wallenghrunth stando al gioco politico italianizzarono il cognome in
Valignani, divenendo proprietari. Il grande feudo dei Valignani fu
diviso in tre parti: Ducato di Vacri, Baronato di Miglianico,
Marchesato di Cepagatti.
Federico ebbe probabilmente tre figlie, Anna Ninfa che si unì in matrimonio al Duca di Ventignano Don Cesare Monticelli Della Valle, un’altra di nome Olimpia che, forse, sposò un Conte Longarini Fieramosca e non ebbe figli, la terza di nome Giovanna sarebbe andata sposa al Duca Michele Bassi di Alanno. Federico ebbe idee preilluministe, i suoi scritti politici furono ignorati, come le Riflessioni sul commercio nel Regno di Napoli, che, inviate a Vienna a Carlo VI, non ebbero accoglienza, se ne dà notizia in un documento (fonte: Giuseppe Francesco de Tiberiis, Il pensiero economico e politico di Federico Valignani, dagli scritti inediti, in Federico Valignani e la cultura illuministica, Noubs, Chieti, 2002, a cura di Vito Moretti). Nell’opera egli indica al Sovrano le vie per “restituire alle province meridionali il ruolo di terra di promissione, di commodo e di ricchezza” (G. F. de Tiberiis, cit.), proponendo anche la navigazione del fiume Pescara fino a Popoli per privilegiare l’Abruzzo come terra di raccordo di scambi commerciali tra Napoli, Venezia e l’Austria. Fu anche un fecondo scrittore. Sua è la Centuria di sonetti istorici, poema didascalico, pubblicato a Napoli nel 1729, in cui ripercorre la storia della città di Chieti intervenendo nella narrazione epica con propri pareri, proponendo argomenti di riflessione di carattere filosofico o storico, e spesso citando dei personaggi influenti che lo ispirarono, tra cui lo storico teatino Girolamo Nicolino.
Durante i suoi studi a Napoli e Roma e durante le sue visite presso le corti europee, Federico ebbe modo di conoscere ed instaurare contatti con molti letterati dell’epoca quali Ludovico Antonio Muratori. Suo zio Innocenzo XIII (la nonna paterna di Federico era sorella della madre di Innocenzo XIII) lo fece nominare Presidente di Regia Camera di Spada e Cappa del Regno inviandolo a Napoli. Ritornato a Chieti, nel 1720 fondò la Colonia Tegea dell’Arcadia Romana. Nello spirito del movimento arcadico del tempo Federico chiamò a raccolta un gruppo di aristocratici e di intellettuali della città di Chieti, creando un’attività culturale molto intensa nella comunità teatina dell’epoca.