Lettera d’amore e d’addio, ispirata dal romanzo Comallamore (2009), è stata donata da Ugo Riccarelli al Museo della Lettera d’Amore in occasione dell’apertura del museo, il 9 agosto 2011.
Lettera d’amore e di addio
Qui è caldo, di quel caldo che anticipa di poco le ferite del mondo, i terremoti, le inondazioni, e i ritorni degli esiliati tunisini e fa sentire la fatica improba di dover andare avanti lo stesso anche se la voglia non è più la stessa perché, creda, non è semplice ricominciare sempre da capo la propria vita, davanti al cancello di un collegio di suore a salutare chi parte e non vorresti se ne andasse. Eppure sto con la faccia sorridente, bimbi, che la vita è piena di belle sorprese e piangere non è cosa da uomini.
Ognuno ha le proprie ragioni e purtroppo io sono troppo poco animale per non rispettarle. Riesco ad ascoltare i criminali, concedo udienza ai pazzi e passo otto ore al giorno tra gli impiegati comunali. Figuriamoci se non sorrido, superiora, figuriamoci se non ho una battuta pronta per qualcuno. Ma qui è veramente caldo, oggi, e io mi sento vuoto e stanco e avrei voglia soltanto che qualcuno da qualche parte se ne accorgesse e mi facesse mettere la testa dove so io, e mi dicesse non ti preoccupare, e mi tenesse vicino almeno fino a quando l’aria si farà un po’ più fresca e i telefoni ricominceranno a squillare.
Senta, forse non sarà educato e dunque lei non lo dica al parroco, ma io mi sono rotto di pregare, e continuare a cercare spiegazioni razionali mi sta stretto, quindi non so assicurarle cosa farò, se starò ancora buono ad aspettare o salterò il muro di cinta e me ne andrò in giro a cercare qualcuno che non abbia bisogno immediatamente di certificati di nascita da appendere alle credenze dei tinelli, ma gli basti avere un cuore aperto appiccicato sul parabrezza del motorino, e un po’ di miscela dentro e dopo quello che verrà venga, perché si vive poco e il terremoto è vicino e allora non serve stare sei mesi a guardare lo stesso albero dalla finestra dell’ospedale a ciucciarsi i rimpianti.
L’amore è una bestia che graffia, superiora mia, ma lei non credo possa saperlo perché è innamorata di Dio e noi invece si è umani, pieni di errori e di schifezze, e si semina figli per il mondo senza pensarci, e si fa l’amore odorandoci l’anima, mentre lei ha il suo Sposo e la sua Famiglia, certo, ma figli col principale non ne farà mai, ascolti un cretino, che quella è gente troppo perfetta, frutto di testa più che dello sperma che maneggiamo noialtri.
Allora la saluto, superiora, ma faccia attenzione ai parroci che allungano le mani e basta. Io parto, scavalco e vado a cercare qualcuno che ami i matti apparentemente senza futuro, quelli che il futuro invece ce l’hanno davvero perché non muoiono mai, neanche se li appiccichi al muro con uno schiaffo tipo le mosche fastidiose, i brutti pensieri, i ragni, le lucertole e i sogni che fanno parlare di notte e stringere i denti.
E se un giorno scoprirà che il Principale sulla croce ci si è messo per motivi diversi da quelli dichiarati, si ricordi di quelli che non danno troppa ragione al tempo e amano raccontare storie e ascoltarle, specialmente dopo fatto l’amore, quando si è sudati di gioia, e allora getti il vestito e la cuffia, salti il muro di cinta anche lei, prenda il motorino e vada a cercarli, che gli angeli ricuciono l’amore assieme alla pazienza e i figli nascono quando pare a loro, mica quando decidiamo noi.
Parola di un matto.